Se ti chiami Enzo Ferrari sai già che per quanto tu possa sfondare e diventare famoso ci sarà sempre qualcuno col tuo stesso nome e cognome più noto. Enzo Ferrari giocatore e allenatore, morto oggi ad 83 anni, col Drake di Maranello non aveva niente in comune ma riuscì comunque ad emergere e a farsi apprezzare. Fu il primo allenatore italiano di Zico e il primo tecnico di casa nostra ad allenare in Spagna.

La carriera di calciatore

Da attaccante partì dal San Donà, la squadra della sua città natale, per andare poi girovago tra Arezzo, Genoa, Palermo, Monza, Udinese e Conegliano. Negli annali rimase un gol segnato da 70 metri con la maglia rosanero all’Olimpico contro la Roma, anche se lui ha sempre minimizzato («Volevo lanciare Troja, la tramontana ha preso il pallone e l’ha portato dietro Ginulfi»). Amato in rosanero, Ferrari divenne un idolo a Udine dal 1974 al 1976, raccogliendo 58 presenze, con 9 gol segnati.

Tra Causio e Zico

È alla panchina dell’Udinese, però, che il suo nome è più strettamente legato: scelto come allenatore della Primavera nella stagione 1979/80, nell’annata successiva subentra in corsa a Gustavo Giagnoni, rimanendo allenatore dei bianconeri fino al 1984. Sono gli anni d’oro dell’Udinese che dopo Edinho e Causio (grande amico di Ferrari, suo ex compagno di stanza e di squadra al Palermo, se lo porterà sempre dietro), acquista nell’93 Zico.

Il gol segnato da brillo

Diplomato perito chimico, il suo sogno era diventare ciclista professionista ma la bici a un certo punto fu messa da parte per lasciar spazio al pallone. Per un certo periodo ha fatto anche il rappresentante di spumanti e quando giocava a Palermo faceva il piazzista di pellicce. Amante della pittura in privato, grande esperto di vini in pubblico, Ferrari.

Anche troppo come confessò a Gianni Mura col gol segnato da brillo: « Diciamo allegretto, non proprio ubriaco. C’era un’amichevole con l’Inter a Fontanafredda, io non la dovevo giocare e avevo bevuto qualche bicchiere di Picolit, la mia passione. Negli spogliatoi m’han detto di cambiarmi …Corner per noi al primo minuto: vedo che Bordon dormicchia e dalla bandierina gli taglio dentro la palla, gol. Poi ho chiesto la sostituzione… ».

Amava Nereo Rocco (“Il paròn è stato tra i primi a capire l’importanza della psicologia. Non si può essere solo tecnici. “Chi no xe omo, resti sul pullman”, diceva ogni domenica Nereo, sdrammatizzando l’ambiente. Ecco noi lottiamo ancora contro la paura. Troppi miei colleghi in settimana preparano le partite in un modo che se li vedono al Pentagono diventano rossi di vergogna”) e fu amato anche in Spagna. Si trasferì al Saragozza nella Liga e riuscì a portare la squadra spagnola alla semifinale di Coppa del Re, centrando l’impresa sconfiggere in campionato a Madrid sia l’Atletico che il Real. Ferrari fu il primo allenatore italiano a sconfiggere il Real al Santiago Bernabeu.

L’esperienza in Spagna

Ricordò Enzo Ferrari l’anno dopo sulle pagine del Guerin Sportivo: “Volli dimostrare, prima di tutto a me stesso, di essere in grado di allenare ad un certo livello. Credo di esserci pienamente riuscito. Volevo cominciare un ciclo, c’erano tutti i presupposti, poi molte cose non sono andate per il verso giusto”.

La beffa di Avellino

Chiusa l’esperienza spagnola per Ferrari si aprì un nuovo importante capitolo a Trieste, dove chiamò con sè il fidato Causio, poi Avellino che rimase un buco nero nella sua carriera e non solo per il suo primo esonero: « È l’88-89, vengo esonerato dall’Avellino in C (ero al quarto posto!) e mi chiama il Siviglia. Per un’assurda regola cambiata l’anno dopo anche per la mia battaglia, non posso allenare all’estero perché ho iniziato la stagione in Italia. Al Siviglia arrivò Bilardo e aprì un ciclo».

Da lì a Padova, prima di tornare al Palermo da allenatore e di guidarlo alla promozione dalla C alla B. Nel ’94, tornò ad allenare in Serie A, la Reggiana, subentrando a Marchioro. nella stagione 1998-99 subentrò a Cacciatori sulla panchina dell’Ascoli. Ultimo club allenato fu l’Arezzo nel 2002.

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